Biennale 2022, la grande mostra di Anish Kapoor a Venezia
Anish Kapoor alle Gallerie dell'Accademia, Venezia | Foto: © Attilio Maranzano
Alle Gallerie dell’Accademia e Palazzo Manfrin, che l’artista ha recentemente acquistato, una retrospettiva off-Biennale mostra le diverse anime di Kapoor, dalle opere specchianti a quelle in Vantablack ai dipinti che sembrano carne.
Tra le mostre a Venezia in concomitanza con la Biennale 2022, ha aperto anche la grande retrospettiva dedicata ad Anish Kapoor curata dal direttore del Rijkmuseum Taco Dibbits, che raccoglie opere dell’artista dagli anni Ottanta a pezzi realizzati negli ultimi mesi. Una mostra doppia che vuole mostrare “l’intera gamma visionaria della pratica di Kapoor”, con sede al riaperto Palazzo Manfrin e alle Gallerie dell’Accademia.
Qui, accanto ad alcuni dei più celebri capolavori della pittura veneziana, è esposta l’opera più pubblicizzata – di sicuro la più instagrammata – della mostra. Si tratta di Shooting Into the Corner, l’installazione in cui uno speciale cannone, creato da Kapoor insieme a un team di ingegneri, spara proiettili di cera rossa da 11 chili ciascuno. Il risultato è una lunga striscia di materia rossa spappolata a terra e sulle pareti che invade una ampia porzione della sala principale dell’esposizione. Il cannone, visibile da una apertura nella parete, è puntato dritto sul visitatore quando accede alla mostra. Sembra lo scenario di un massacro. Inevitabile ricollegarlo alla guerra in Ucraina, il convitato di pietra di questa intera Biennale, anche se non c’è nessun legame esplicito. L’opera, che risale alla fine degli anni zero, viene amplificata dall’attualità, è probabilmente quella giusta per il momento storico, ma con la sua sovraesposizione rischia anche di sminuire il valore complessivo della mostra, di nascondere il resto. “Kapoor crea opere che si realizzano nell’attimo in cui le sperimentiamo”, spiega il curatore Taco Dibbits. “Tali opere esistono in un divenire continuo, siamo chiamati come testimoni di questi oggetti per un solo momento nel corso della loro generazione o degenerazione”.
Altra spettacolare opera sempre esposta sempre alle Gallerie è la nuovissima Pregnant White Within Me, un gigantesco rigonfiamento bianco, una curvatura nella parete che osservato frontalmente quasi neanche si nota – almeno finché non si tenta di catturarne un’immagine dalla fotocamera del telefono. Ci sono poi le opere realizzate con il Vantablack, lo speciale pigmento nanotecnologico nero capace di assorbire il 99,965% di luce, di cui Kapoor ha i diritti per l’uso esclusivo in campo artistico.
“È un grande onore essere invitato a confrontarmi con le collezioni delle Gallerie dell'Accademia di Venezia; forse una delle più belle collezioni di pittura classica di tutto il mondo”, ha commentato l’artista britannico. Noto al grande pubblico soprattutto per le grandi sculture specchianti, nelle sale che le Gallerie gli dedicano si mostra la varia complessità della sua arte, con l’alternanza tra spiazzanti opere geometriche che sfidano le facoltà percettive di chi le osserva, e colate di materia organica rossastra che ricoprono tele, si riversano su strutture metalliche e letteralmente eruttano dalle cornici. Il richiamo immediato è quello della carne, un corpo a cui è stata levata la pelle e messo in mostra, un colare di tessuti simil-organici come se una macelleria o uno studio autoptico fossero diventati spazio dell’arte. È una epifania oscura che abbraccia lo spettatore, non distante – geograficamente e nel sentimento – da quella allestita da un altro grande maestro del contemporaneo, Alselm Kiefer, che a poca distanza, a Palazzo Ducale, con un ingresso collocato subito oltre la grande tela di Tintoretto che raffigura la battaglia di Salvore, ha trasformato la sala dello Scrutinio in una gigantesca raffigurazione della vita e della morte, dove quest’ultima domina la scena con una bara e falci da triste mietitore appese alle pareti di quadri.
Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, il palazzo di Giacomo Manfrin, un nobile veneziano che aveva accumulato una cospicua fortuna grazie al tabacco, era diventato una attrazione turistica, e in particolare lo era il piano nobile, trasformato in una galleria d’arte amata da visitatori del calibro di Canova, Manet e Byron. Molte delle opere lì conservate, esattamente ventuno, alla morte del conte furono trasferite proprio alle Gallerie dell’Accademia. Recentemente il palazzo è stato acquistato da Anish Kapoor e parzialmente rinnovato. All’ingresso, la monumentale opera site specific *Mount Moriah at the Gate of the Ghetto* – il ghetto di Venezia si trova proprio dirimpetto al palazzo – accoglie i visitatori. Si tratta di una massa grondante di silicone e vernice, in nero e in rosso, che richiama le colate materiche viste anche alle Gallerie, come nei grandi quadri esposti al primo piano, sia quelli bidimensionali a olio, sia quelli realizzati con resina, pittura e silicone in cui la materia si protrae nello spazio come un informe ammasso disordinato di carne, che gronda dalla scivolo bisecato di *Split in Two Like a Fish for Drying* o ricopre la rampa di *Sacrifice*. Se alle Gallerie la percezione delle opere di Anish Kapoor passava attraverso la lente dei grandi dipinti della tradizione veneziana esposti nelle altre sale, qui a dominano la giustapposizione e la messa in continuità con gli elementi storici del palazzo – il pavimento, gli affreschi a soffitto, ma anche le scritte con numeri di telefono e i disegni a matita che si stratificano sulle pareti di questo edificio solo parzialmente ristrutturato.
Sempre al primo piano di Palazzo Manfrin, in un grande salone su cui si affaccia uno stretto balcone, con una madonna d’epoca in dimensioni reali che sembra quasi contemplarla, si trova un’altra gigantesca installazione, Symphony for a Beloved Sun, con blocchi di cera rossa spappolati che richiamano quelli di Shooting into the corner. Spezzano questo angosciante trionfo di rosso e tinte guignolesche un’opera cruciale di inizio anni Ottanta, White Sand Red Millet Many Flowers, opere specchianti (gettonatissime per i selfie), geometrie nerissime su campo bianco in Vantablack e il cartoonesco caterpillar di Destierro – anche qui però il rosso non manca, ma è un rosso leggero, evacuato di qualsiasi riferimento a masse organiche, su cui non aleggia quell’aura di fragilità e morte che, una volta lasciato il Palazzo o le Gallerie, il visitatore porterà probabilemente con sé. Ma come già detto e sottolineato dalle parole di Carlo Rovelli nel catalogo della mostra pubblicato da Marsilio Arte, c’è molto di più in Kapoor che l’eclatante esplosione rossa da cui è facile essere soprattutto attratti: “Come accadeva per l’artista rinascimentale”, scrive il celebre fisico italiano, che sottolinea l’importante rapporto che intercorre tra l’artista e la scienza, “la sua maestria serve ad aprirci gli occhi a nuove
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